Nicola MancinoDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Nicola Mancino
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Presidente Regione Campania
Durata mandato 1971 –
1972
Predecessore Carlo Leone
Successore Alberto Servidio
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Ministro dell'Interno
Durata mandato 28 giugno 1992 –
19 aprile 1994
Predecessore Vincenzo Scotti
Successore Roberto Maroni
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Presidente del Senato della Repubblica
Durata mandato 1996 –
2001
Predecessore Carlo Scognamiglio
Successore Marcello Pera
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Presidente supplente della Repubblica Italiana
Durata mandato 15 maggio 1999 –
18 maggio 1999
Predecessore Oscar Luigi Scalfaro
Successore Carlo Azeglio Ciampi
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Vice-Presidente del CSM
Durata mandato 1º agosto 2006 –
2 agosto 2010
Predecessore Virginio Rognoni
Successore Michele Vietti
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Dati generali
Partito politico PPI
Nicola Mancino (Montefalcione, 15 ottobre 1931) è un politico italiano, già vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, già ministro dell'Interno e presidente del Senato.
sen. Nicola Mancino
Parlamento italiano
Senato della Repubblica
Partito DC, PPI, La Margherita
Legislatura VII, VIII, IX, X, XI,
XII, XIII, XIV, XV
Gruppo DC, PPI, DL, L'Ulivo
Indice [nascondi]
1 Biografia
2 La polemica con Salvatore Borsellino
3 Caso Anemone
4 Note
5 Altri progetti
Biografia [modifica]Esponente della Democrazia Cristiana, di cui divenne segretario dapprima della provincia di Avellino e poi della regione Campania (di cui fu due volte presidente della giunta regionale), fu eletto per la prima volta senatore nel 1976 e da allora è stato sempre riconfermato.
È stato Ministro dell'Interno dal 1992 al 1994: in questa veste firmò il Decreto per il Riordino della finanza degli enti territoriali DM 504 /1992, decreto che introdusse l'ICI Imposta Comunale sugli Immobili. Firmò anche il decreto che istituiva il reato per istigazione razziale, che ebbe come conseguenza la chiusura di numerose associazioni neofasciste come Meridiano Zero. Durante il suo mandato fu modificato l'Articolo 41 bis, che stabilì condizioni di carcere duro per i boss mafiosi, furono sciolte decine di consigli comunali per infiltrazione mafiose e le forze dell'ordine assicurarono alla giustizia alcuni tra i più pericolosi capi di Cosa nostra, tra cui Totò Riina e Nitto Santapaola.
Nel 1994 dopo lo scioglimento della DC aderisce al Partito Popolare Italiano ed è tra i più stretti collaboratori di Mino Martinazzoli. Nel luglio 1994 partecipa al congresso del PPI ed è tra i principali esponenti contrari ad alleanze col centrodestra di Silvio Berlusconi e all'elezione di Rocco Buttiglione alla segreteria del partito. Nell'ultimo giorno del congresso viene scelto dall'ala sinistra del PPI come candidato alla segreteria da contrapporre a Buttiglione. Tuttavia non riesce a coagulare attorno a sé la maggioranza del partito.
Dopo la vittoria elettorale di Romano Prodi e dell'Ulivo, è stato Presidente del Senato della Repubblica dal 9 maggio 1996 al 29 maggio 2001, durante la XIII Legislatura.
È stato rieletto senatore alle elezioni politiche del 2006, sempre per la Margherita. Il 24 luglio 2006 lascia il Senato dopo 30 anni di attività parlamentare perché eletto dal Parlamento in seduta comune come componente del Consiglio Superiore della Magistratura, in seno al quale ha ricoperto l'ufficio di vicepresidente dal 1º agosto 2006 al 1º agosto 2010.
La polemica con Salvatore Borsellino [modifica] Questa voce o sezione sull'argomento politica è ritenuta non neutrale.
Motivo: paragrafo privo di fonti su inchiesta in corso
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Secondo testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia dopo la strage di Capaci si è avviata una trattativa tra pezzi dello Stato Italiano e Cosa Nostra di cui il giudice Paolo Borsellino sarebbe verosimilmente stato al corrente[1] poco prima di venire ucciso il 19 luglio 1992. In quest'ottica diventa importante sapere se e quando Borsellino abbia appreso dell'esistenza della trattativa in quanto una sua mancata adesione avrebbe potuto essere un movente per l'omicidio. Secondo Massimo Ciancimino la trattativa era gestita dal padre Vito Ciancimino che avrebbe chiesto – sempre secondo la testimonianza del figlio – ed ottenuto di informare Mancino. Mancino dal canto suo nega di aver avuto questa informazione.
Il 1º Luglio 1992 alle ore 19:30 Paolo Borsellino aveva un appuntamento al Viminale con Mancino che in quel giorno assumeva la carica di ministro: così è segnato nella agenda del magistrato e così è confermato dalla ricostruzione della giornata di Rita Borsellino secondo la quale vi si sarebbe recato in seguito ad una telefonata del ministro. Il collaboratore di giustizia Mutolo al riguardo racconta che Borsellino gli disse «mi ha telefonato il ministro, manco due ore e poi torno» e poi racconta però «[Borsellino] molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa del ministro, si è incontrato con il dottor Parisi e il dottor Contrada». Tuttavia l'avvocato generale di Palermo Vittorio Aliquò racconta che quel giorno accompagnò Borsellino sulla soglia della stanza del neo-ministro, lo vide entrare, lo vide uscire poco dopo e quindi entrò a sua volta, ma da solo[2], non ricorda di aver incontrato Bruno Contrada ed esclude che Borsellino gliene abbia parlato. Mancino interpellato sulla vicenda ha sostenuto «Non ho precisa memoria di tale circostanza, anche se non posso escluderla, era il giorno del mio insediamento, mi vennero presentati numerosi funzionari e direttori generali. Non escludo che tra le persone che possono essermi state presentate ci fosse anche il dottor Borsellino. Con lui però non ho avuto alcuno specifico colloquio e perciò non posso ricordare in modo sicuro la circostanza» e inoltre nega di averlo convocato.[3]
In seguito a tali dichiarazioni Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha accusato Mancino di non essere credibile quando afferma di non ricordare di un eventuale incontro con Paolo considerata la visibilità mediatica che stava avendo il magistrato dopo la strage di Capaci.[4] Mancino ha replicato con una lettera al Corriere.it del 17 luglio 2009[5] dove fa presente che stando a quanto racconta Mutolo il giudice Borsellino non avrebbe incontrato lui ma altre persone, Mancino sostiene anche che non avrebbe comunque nessun motivo di negare quell'incontro nel caso ci fosse stato e fa notare che il giorno del presunto incontro era per lui il primo giorno di insediamento al Viminale.
Caso Anemone [modifica]Il 13 maggio 2010 i giornali hanno pubblicato la notizia[6] secondo la quale il nome di Nicola Mancino sarebbe presente nella "lista di Anemone", ossia l'elenco di 370 persone che avrebbero fruito di ristrutturazioni edilizie fornite dal'immobiliarista Diego Anemone.
Note [modifica]^ Borsellino sapeva della trattativa tra stato e mafia. Ruotolo convocato dai magistrati di Palermo
^ Mistero Borsellino Le rivelazioni di Ciancimino
^ [1]
^ Salvatore Borsellino: «Via D'Amelio strage di Stato»
^ Mancino: «Salvatore Borsellino fa sempre una citazione monca»
^ Corriere.it - Nicola Mancino "Nessun regalo da Anemone"
Altri progetti [modifica] Wikisource contiene opere originali di o su Nicola Mancino
Articolo su Wikinotizie: Nicola Mancino è il nuovo Vicepresidente del Csm
Predecessore: Presidente Regione Campania Successore:
Carlo Leone 1971 - 1972 Alberto Servidio
Predecessore: Ministro dell'Interno Successore:
Vincenzo Scotti 1992-1994 Roberto Maroni
Predecessore: Presidente del Senato della Repubblica Successore:
Carlo Scognamiglio 1996 - 2001 Marcello Pera
Predecessore: Vice-Presidente del CSM Successore:
Virginio Rognoni 2006 - 2010 Michele Vietti
Predecessore: Presidente supplente della Repubblica Italiana Successore:
Oscar Luigi Scalfaro 15 maggio 1999 - 18 maggio 1999 Carlo Azeglio Ciampi
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